Come ci “informiamo”
COME CI “INFORMIAMO”
Cronaca semiseria del nostro rapporto con le notizie
Viviamo nell’era dell’informazione. O almeno così ci dicono. In realtà, viviamo forse più nell’era dell’“infobesità”, dove tutti parlano, pochi ascoltano, pochissimi verificano, e in compenso tutti condividono.
Ma partiamo dai dati, che fanno sempre bella figura all’inizio di un articolo, anche quando nessuno li legge davvero Secondo un’indagine recente [Ipsos], il telegiornale resta la fonte di informazione più utilizzata dagli italiani: lo guarda l’80% della popolazione. Un numero imponente, se si considera che metà di questi lo tiene come sottofondo mentre prepara la cena. Seguono i motori di ricerca (65%), Facebook (62%) la radio (56%), i giornali cartacei (47%) e i periodici (46%).
Ma come funziona questa informazione che ci raggiunge, ci informa, ci forma (o ci deforma)?
Il rito laico del telegiornale
Accendiamo la TV alle 20, e sappiamo già cosa ci aspetta. Inizia quasi regolarmente con un fatto di sangue. Preferibilmente un femminicidio ( ma quante donne rimarranno ancora vive in Italia?), una sparatoria ( meglio se multipla), un accoltellamento, una rissa finita male. Parte il servizio: immagini sgranate, sirene, le solite interviste al cugino del vicino della sorella della vittima, che inevitabilmente dice che il presunto colpevole era “una bravissima persona”.
Poi, se siamo fortunati, si passa al processo relativo a un fatto di sangue di due anni fa. Cronaca su cronaca. Ma sempre con tante lacrime di “umanità”.
Segue la politica. Collegamento con l’inviato sotto Montecitorio, che ci racconta con enfasi le stesse cose già dette due minuti prima in studio. Poi parte la sfilata delle faccette dei politici, ovviamente uno per ciascuno degli innumerevoli gruppi politici, ognuno col suo inossidabile slogan : “Il governo è incapace!”, “L’opposizione rema contro!”, “I giovani sono il futuro!” etc.etc. Sembra di stare in un grande gruppo WhatsApp in cui nessuno legge i messaggi precedenti.
Poi, con un certo fastidio, arriva la politica estera. Collegamenti brevi, superficiali, un cambio di inviato ogni giorno – che non fa in tempo a orientarsi a Gaza o a Kharkiv, che già lo rimandano a Bruxelles. L’approfondimento? No, grazie, non è telegenico.
Alla fine arriva la “parte più leggera”: costume, meteo, l’orso che nuota nel lago o il cane che fa la spesa da solo. Tutto sommato forse la parte più informativa della serata.
Schierati (ma indipendenti )
Passiamo ad un altro genere di informazione: la carta stampata. Non c’ è una testata che non si dichiari indipendente, obiettiva, libera. Poi però, basta leggere tre titoli per capire da che parte stanno. Alcune sono onestamente schierate e uno almeno sa cosa aspettarsi. Altre invece ( sopratutto le più diffuse) sono maestre nell’arte dell’ipocrisia: si mascherano da arbitri, ma in realtà stanno giocando la partita.
E il lettore non sa mai se è goal o non è goal.
E il pubblico? Sceglie ciò che conferma le sue convinzioni. È il cosiddetto “confirmation bias”, che in italiano suona come “voglio leggere solo chi la pensa come me”. Ecco perché chi vota a destra guarda Rete 4, chi vota a sinistra La7, e chi è confuso legge i meme su Instagram.
Nel mezzo, qualche illuso che cerca il confronto civile. Ma spesso finisce risucchiato in uno dei mille talk show dove, con ogni probabilità, smetterà di cercare la verità frastornato e istupidito da mille tizi vestiti da esperti.
I talk show, ovvero: “chi vusa puse’la vaca l’è sua”
I talk show sono il palcoscenico perfetto per la post-verità. Tre ospiti per parte, un agnello sacrificale a rappresentare la minoranza, il conduttore che non è mai super partes, e lo spettacolo è servito. Urlano, si interrompono, cambiano argomento ogni 4 minuti, nessuno ascolta nessuno. Quando uno prova a citare un dato, nessuno lo verifica. Quando uno mente spudoratamente, nessuno lo corregge, tanto meno il conduttore ( che per pudicizia non si chiama più, come una volta,il “ moderatore”).
Ma va bene così: lo share cresce. E in fondo, l’informazione non è altro che un sottogenere dell’intrattenimento, no?
Il confronto impietoso
Non vogliamo sembrare esterofili (o sì?), ma chi guarda un notiziario della BBC ha uno shock culturale. Tanti dati, pochi volti, ancora meno slogan. Interventi pacati, senza interruzioni. Un conduttore che modera davvero. Nessuno urla, nessuno sovrappone la voce. La sensazione iniziale è: “che barba, che noia!” ( come diceva Sandra Mondaini)
Ma alla fine pensi: “ah, ma quindi e’ cosi’ che si fa informazione!”.
E allora, tornando da noi: dove si va a cercarla, questa benedetta informazione?
Social: il circo ambulante
Forse su Facebook? Ma lì trovi il post della zia che condivide la notizia falsa della “banana radioattiva” e subito dopo 423 commenti di gente che se la prende con Soros,le scie chimiche e i terrapiattisti.
Su WhatsApp circolano video girati in Perù nel 2012 che qualcuno spaccia per l’Italia del 2025. Su TikTok i ragazzi fanno debunking mentre si fanno il selfie.C’è creatività, certo, ma anche un tasso di veridicità pari a quello del meteo del 32 dicembre.
Eppure, sempre più persone si informano lì. Forse perché hanno nostalgia di quando le notizie si apprendevano e si commentavano dal barbiere o dalla parrucchiera,gratis e senza pensieri.
In conclusione?
Forse la vera notizia è che nessuno vuole davvero essere informato. Tutti vogliono avere ragione. Tutti vogliono sentirsi rassicurati nelle proprie convinzioni. E così, la funzione dell’informazione (quella di mettere in discussione le certezze, offrire contesto, stimolare il pensiero) passa in secondo piano.
D’altra parte, chi ha voglia di pensare dopo una giornata di lavoro? Meglio sentire l’ennesimo servizio sulla “bravissima persona” che ha ucciso la suocera e chiudere la serata con il pensiero che, in fondo, va tutto come sempre.
Diceva Ennio Flaiano:
“In Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco. Per districarsi quasi tutti hanno sempre una soluzione da proporci: la loro verità, cioè qualcosa che non contrasti i loro interessi”
E l’informazione, da noi, è uno splendido esempio di calligrafia barocca.